Chi mi conosce, sia nel reale sia nel virtuale, sa che negli ultimi due anni la mia passione con la Corea (ma non solo) ha avuto una lenta, ma costante, escalation.
Partita dalla visione di un drama su Netflix (una serie aperta per caso in un momento “Devo aspettare dieci minuti che faccio?”), mi ha portato prima in un tunnel senza fine, tanto che questo tunnel alla fine lo sto arredando, e poi ad essere avidamente curiosa delle loro usanze, della loro lingua, della loro storia, delle loro poesie, dei loro scrittori.
La vegetariana è stato il mio primo libro coreano.
L’autrice Han Kang classe 1970 è esplosa in occidente con questo libro.
Non conosco così bene il mondo letterario coreano e quello che di seguito trovate scritto, sono solo le sensazioni e le idee che questo breve libro ha fatto nascere in me.
Tenete sempre ben presente la mia ignoranza sulle dinamiche sociali e psicologiche che un’occidentale come me, ha sulla loro cultura, ignoranza che potrebbe inquinare la visione della storia.

(Si tutto rosa, divano e libro)
(anche i miei capelli sono rosa attualmente)
Dal mio punto di vista il libro si suddivide in tre parti. Nella parte iniziale sono esposti i pensieri del marito della “Vegeteriana”, in quella centrale entrano in gioco le azioni e i pensieri del cognato della “Vegetariana” e nella terza e ultima entrano le emozioni e i pensieri di Kim In-Hye sorella della “Vegetariana”.
Il filo conduttore rimane sempre lei, Yeong-Hye, “La Vegetariana”. Attraverso il suo fare e, sopratutto, il non fare, diventiamo osservatori di una società e delle emozioni di tre personaggi diversi e di come si rapportano con gli altri e con il mondo.
Nella prima parte ho faticato ad immedesimarmi, un moto di ribellione alle dinamiche mi permeava, e forse questo vuol dire invece dire che mi ero immedesimata e che la lettura mi aveva coinvolto. La seconda è quella in cui ho ritrovato un modus operandi letto anche in storie occidentali di eros sublimato in modo da viverlo. La terza, seppur permeata di tristezza è quella che ho amato di più. Nella terza si comprende bene del mutamento di Yeong-Hye, e la figura marginale della sorella diventa attore.
E’ un libro che racconta emozioni più che storie, ma non delicatamente, ma in modo cruento a volte psicologicamente violento, mentre un ambiente esterno duro e insensibile veste l’involontaria protagonista. Per certi versi mi ha fatto pensare al libro “La noia” di Moravia, anche se i due non hanno nulla in comune, a parte questa umanità che sopravvive a se stessa.
Ho fatto fatica a capire alcune dinamiche, ma credo questo dipenda dalla diversa formazione mentale e sociale di chi vive a Seul piuttosto che a Roma.
Confesso che mi sarebbe piaciuto (mi piacerebbe ancora) conoscere chi invece questa formazione sociale e mentale l’ha dalla nascita, per confrontarmi e capire quanto dipenda, il mio trovare aliene alcune dinamiche, dal mio essere occidentale o quanto invece è volutamente costruito dalla scrittrice.
Se vi piacciono i libri che scandagliano l’animo umano, questo libro potrebbe fare per voi.
Non vi dico edizione, pagine o altro, se cercate in rete, ne troverete più di una. Personalmente ho comprato un usato, spesso regalo una seconda vita ai libri dismessi da altri.