Io e Mr. Fahrenheit


Quando sei un diverso, quando quello che ti piace non incontra il favore degli altri, quando la società intorno ti fa sentire quellə sbagliatə, quando a furia di nasconderti non ti trovi più, quando è legale ma la collettività intorno ti condanna e ti schernisce, quando ti fai domande per capire e non trovi risposte, perché le cerchi fuori e invece devi trovarle in te, da qualche parte insieme al coraggio di essere quello che sei.

Ho amato visceralmente questo jdrama, ho amato Daichi Kaneko e il suo personaggio, così realisticamente punitivo verso se stesso e il suo non trovare una collocazione nella società. Il suo cercare di trovarsi, di capire e la sensazione di essere, comunque e sempre “quello sbagliato” e per questo cercare di proteggere gli altri da se stesso, e non se stesso dagli altri.

Ho parteggiato per la fujoshi interpretata da Ryoko Fujino, il suo comprendere di amare cose che le persone considerano “sporco” e per questo, dopo esser stata ferita, cercare di nascondersi, ma portando avanti lo stesso la sua passione. Ho amato il suo amore incondizionato, il suo trovare un sorriso sempre, e di trovare sorrisi non solo per lei, ma anche per Andou Jun che di sorrisi non ne trova.

Mi sono trovata ad essere profondamente empatica con entrambi. Mi capita spesso con l’arte giapponese, sia che sia un film, un quadro, una serie o un libro, come se attraversassi una poesia dalle tinte forti. Ne rimango impregnata mentre porta parti di me in superficie.

So di esser di parte, con il Giappone (o con quello che di loro arriva qui in occidente) e il suo modo di percepire la vita, il mondo, la società e la parte più profonda di noi, ho un rapporto atavico fatale.

Fujoshi, Ukkari Gei ni Kokuru per noi occidentali “Io e Mr. Fahrenheit” è tratto da un romanzo, poi divenuto manga, è un Jdrama di 8 episodi di circa mezz’ora l’uno del 2019.

Daichi Kaneko interpreta il giovane ragazzo gay Andou Jun e da Ryoko Fujino da voce alla giovane fujoshi(*) Miura Sae.

Di sottofondo la musica dei Queen, una canzone diversa ad ogni episodio, accompagna il viaggio Andou Jun verso se stesso.

Voto 9 al Jdrama, voto 9 ai due attori principali e voto 9 a Tanihara Shosuke che interpreta un ruolo secondario, quello dell’amante maturo Sasaki Makoto.

Questa serie non termina bene e non termina male. Lascia tutte le possibilità aperte, per capire cosa intendo, dovete proprio vederlo.

Chi ama il Giappone e la sua atmosfera, chi rimane affascinato dal loro pensiero e dalla loro atroce delicatezza, non può perderlo.

(*) Una fujoshi è una ragazza (da 0 a 80 anni) con una passione per i Boys’ Love sia che si tratti di un manga o che siano personaggi reali dei film e/o dei drama.
La parola significa ragazza (o mela) marcia e questo dovrebbe già aiutarvi a far capire come sono state viste all’inizio.


UOMINI


Quelli che ho conosciuto e che mi hanno fatto conoscere il “buono” che c’era in loro e a quelli che mi hanno inflitto qualcosa di “cattivo”. Mi avete aiutato a crescere e a comprendere quello che non volevo essere.

Quelli che mi hanno amata e che io non ho amato, non come avrebbero voluto loro. Attraverso voi ho acquisito la capacità di accettare il rifiuto.

Quelli che ho amato e che mi hanno forgiato attraverso il dolore, anche grazie a loro, sono la persona che sono oggi.

Quelli che mi hanno compresa nell’anima e fatta sentire, per un attimo, meno sola in questo mondo. Voi avete riempito il mio cielo.

Quelli che mi hanno chiamata puttana, perché nel loro ferirmi mi hanno resa libera dal giudizio altrui.

Quelli che mi sono amici, quelli veri, che mi hanno fatto conoscere la bellezza, la profondità e la delicatezza del lato maschile.

Quelli che mi hanno resa così insicura, da determinarmi a trovarmi e con me, la mia sicurezza.

Quelli che non sanno neppure loro che vogliono da me, e spesso dalla vita, perché mi hanno dato la capacità di decisione.

Quelli che ho ferito, a volte per codardia a volte senza rendermene conto, perché mi hanno insegnato che a volte che è un attimo passare da vittima a carnefice.

Quelli che “Ci sono per te” e poi non ci sono mai. Mi hanno insegnato il valore di chi invece c’è.

A Voi regalo le parole di questa canzone che amo. Stamattina passava per radio e mi ha fatto venire in mente tutti voi.

Grazie. Sia che siate stati carezze o siate stati lame nella mia vita, mi avete dato il massimo di cui eravate capaci in quel momento.

La dedico anche a me, alla mia parte maschile. Oggi, scrivendo queste poche righe insieme alla mia parte femminile, mi ha fatto amare tutti voi, e così facendo, mi ha liberato.

JUNI


Piena di te è la curva del silenzio.
(Pablo Neruda)

Nonostante siano passati giorni, faccio fatica a scrivere questo post. Lo apro, lo richiudo. Ci ritorno e poi lo richiudo.

Neppure quattordici anni di vita i tuoi, e poco più di due vissuti con me, gli ultimi. Chi doveva amarti per sempre, nella sua vita ha fatto e fa confusione tra il verbo e l’aggettivo, quindi alla fine usa il verbo solo riferito a se stesso e l’aggettivo per rendere amare le vite altrui.

Ho parole dalle mille sfumature, ma nessuna riesce a percorrere la gola e spiccare il volo.
Rimangono lì, incastrate, come pirite cubica nella roccia.

Ho capito come la vibrazione di cui siamo fatti, tutto e tutti, nessuno escluso, riempia lo spazio.
L’ho scoperto nello spazio vuoto tangibile della sua assenza.

So esattamente, conosco perfettamente il momento esatto in cui hai lasciato questo mondo, un freddo e oscuro venerdì mattina alle 07.07.
Non so, invece, come tu, presenza così silenziosa, possa ora, nella tua assenza far un frastuono così intenso.

Altro non riesco a dire, questa “pirite cubica”, non si stacca dal cuore.

CORDONI OMBELICALI


Il primo è stato con nostra madre, fisico, fatto di sangue e materia, non l’avremmo mai fatto, lo abbiamo subito. Era solo il primo che avremmo dovuto affrontare su questa terra.

Abbiano proseguito a staccarci, passo dopo passo. Abbiamo reciso altri cordoni ombelicali che ci tenevano legati a lei. Quelli eterici, fatti di emozioni ed energia, ma non per questo meno dolorosi.

Siamo cresciuti, convinti di esser finalmente liberi, e che nulla ci obbligava. Invece, nell’adolescenza, ci siamo scoperti imbrigliati ancora e abbiamo iniziato e recidere un altro grande cordone ombelicale, quello con la famiglia di origine, per determinarci e dire: “Io esisto anche senza di voi“. Pensavamo, recidendolo, di esser finalmente liberi. Pensavamo.

Neppure tanto tempo dopo, abbiamo scoperto che quando tagli un cordone ombelicale, dietro esso ve n’è un’altro. Così andando incontro al tuo tempo, sospetti che lo scopo stesso della tua vita, sia recidere cordoni ombelicali. Cosa che a volte indolore non è.

Recidiamo con la famiglia di sangue, con i nostri amici, con la famiglia che pensavi di volere, con le situazioni, con gli amori, con i nostri compagni. Recidiamo, consapevoli, che se così non fosse, rimarremmo intrappolati in decine di cordoni ombelicali. Si aggroviglierebbero tra loro, tirandoci da ogni parte, alla lunga moriremmo soffocati, e noi lo sappiamo, siamo nati per essere liberi.

Oh lo so pare una cosa tremenda tagliare i cordoni ombelicali.  Questi tagli a volte son dolorosi e capita che rimanga la cicatrice, ma è meno terribile di quello che sembra.

Tagliare il cordone ombelicale non vuol dire separarsi dagli altri. Vuol dire non dipendere dagli altri, e scegliere se rimanere.

Tagliare il cordone ombelicale non vuol dire non amare nessuno, vuol dire scegliere. Avere la percezione di amarsi e quindi amare l’altro in modo libero.

Tagliare il cordone ombelicale fisico con il proprio figlio, vuol dire dargli autonomia, da quel momento gli regali la vita, la sua.

Tagliare il cordone ombelicale energetico con i genitori, vuol dirsi darsi la possibilità di diventare quello cui siamo destinati.

Io lo vedo, so che lo vedete anche voi, cosa è accaduto a quelli che dai cordoni, non provano più a liberarsi.

UN FIORE CHIAMATO MARTA


Credo tu sia stata trasportata su questo mondo da una bianca piccola piuma d’angelo.

Sei nata nelle pieghe di questa, non facile, terra. Sei fiorita accanto a noi, fiori del deserto. Tu piccolo seme hai lottato per esserci.

Sei stata un piccolo fiore tenace, ogni volta che questo mondo ti spazzava con i venti forti, tu perdevi petali, ma rimanevi ancorata al terreno e ai fiori attorno a te, perché li amavi.

Ma un fiore prezioso come te, una piccola e delicata orchidea, non poteva sopravvivere in questo deserto, in questo mondo arido e duro.

Ci incontreremo in un’altro giardino, dove l’amore, la gentilezza, l’empatia e la compassione pervadono il terreno. Tutti noi ci nutriremo di quello e saremo finalmente a casa.

Ciao piccola Marta

STRONZATE


E che in questa epoca ci si dimentica dell’essenza della parola “amico”. In questa epoca ci sono gli amici di baldoria, gli amici di bevuta, gli amici per uscire, gli amici di convenienza e i trombamici.

Ma son stronzate. L’amico è uno solo, quello che cerchi, e che ti cerca, sia per ridere che per piangere, il resto è solo un occupare lo spazio vuoto della propria anima per paura della solitudine.

AVVOCATO


Ci siamo mandati spesso.
Anzi no, ti ci ho mandato io.
Anzi no, mi ci hai mandato tu con il pensiero.
Insomma ci siamo mandati a volte, ma…

ma… il giorno della festa della tua laurea,  a fine serata, sei arrivato da me con un pacchetto. Alla tua festa di laurea, tu, facevi un regalo a me. Dire che ero sorpresa è poco, e forse son stata così stronza da non averti mai detto “grazie”.
Dentro il pacchetto un orologio di vetro, con le lancette che scandivano il tempo, accompagnato da un “Grazie per tutto il tempo che mi hai dedicato”.

L’orologio di vetro, come il tempo passato, non c’è più. Entrambi fragili in questa vita. Ma noi in qualche modo siamo qua, sbagliati, claudicanti, pieni di difetti e, diciamolo, a volte pure noi un pò più stronzi.

ma… una sera estiva di luglio, tu abbronzato in un completo bianco (che più bianco non si può) e io. I tuoi amici ti aspettavano per una serata in discoteca sul lago, tu hai procrastinato, mi hai regalato un pò del tuo tempo, per darmi la tua spalla e la tua camicia bianca in modo che io potessi appoggiare la testa e le lacrime. Lo hai fatto incurante del mascara e del trucco che colava manco fossi il Niagara, a causa dell’uomo sbagliato che avevo, che io di giusti mai.

ma… una notte, ubriaca (dire che ero ubriaca è un eufemismo) dopo che avevamo passato l’ennesima serata con gli amici. Tu rimanevi con me per non lasciarmi sola a smaltire i fumi dell’alcol. Mi hai portata in auto con te, in giro, mentre io ogni due per tre andavo a vomitare. Poi seduti in auto a parlare, ti raccontavo di me, degli uomini stronzi, di cosa io pensavo, di cosa io provavo. E io provavo dolore.
Ho pianto così tanto quella notte che entrambe le narici mi si tapparono, non riuscivo neppure più a respirare.
Il non ricordarmi più nulla, il giorno dopo, di quello che avevo detto. Nulla a parte l’averti insultato con un “Guarda che non ti salvi neppure tu, sei stronzo come gli altri”. E tu bastardo, ancora oggi che non mi racconti che ti ho detto quella notte.

Quando ti dico che sei l’unico uomo che mi ha visto piangere così, e cosi tante volte, tu mi fai un mezzo sorriso sarcastico e mi dici “Che culo!”.

Potrei raccontare altri frammenti di quello che ci ha portati a oggi, a essere amici. Da quando ci siamo conosciuti (occhio che a breve sarai il maschio con più anni di permanenza nella mia vita), son passati bisticci, abbracci, alcol, incazzature e sguardi complici, son passate serate e momenti in cui i ruoli si alternavano, ma preferisco il silenziarmi, questo post non è nato per ricordarci come eravamo ieri.

Questo post è nato semplicemente per augurarti

Buon compleanno Avvocato!

Ora svolgi la professione per cui quella sera, quella in cui mi regalasti l’orologio, festeggiavi. Crono porta le lancette avanti e noi due siamo ancora (per il momento) amici (alcolizzati, ca va san dire).
Ti voglio bene (nonostante tutto) anche se a volte non sembra (tipo come mettere un “per il momento” e “nonostante tutto” nelle frasi).

PS: mi racconti cosa ti ho detto per due ore quella notte, oltre ad averti insultato?

 

DI MEMORIE E APPRENDIMENTI PRE, DURANTE E POST DELIRI FEBBRILI


Ho imparato che la mia testa dice “Devi dimagrire” e il mio cuore risponde “Col cazzo!”
(ma essendo suora nell’anima, come diceva il mio amico Aka, ho quindi problemi di sovrappeso)
(e no, questo non è un messaggio subliminale alla ricerca di qualcuno che “tamponi” il mio problema)

Ho appreso, in questi giorni di febbre alta, che il mio corpo ha una temperatura omogenea fino a 37°. Tra i 37° e i 39° il mio corpo si divide in due. La parte destra è più calda di quella sinistra, con un’alterazione che varia tra 1° e 0,7°. Dopo i 39° torna omogenea.
(da quando non posseggo più il vecchio termometro a mercurio, mi affido ai nuovi termometri digitali e misuro la febbre nell’orecchio. In questi giorni di delirio febbrile, avevo la fissa di farlo su entrambe, da qui la scoperta)

Ho ricordato che la gente ti dice le cose convinta che tu abbia libero accesso alla loro mente, e tu sappia perfettamente anche quello che non ti ha detto.
(E s’incazza, ti considera decerebrato, se tu non sai cosa le passa esattamente tra le sinapsi senza avertele dette. Chiaramente questa cosa non vale al contrario. Tu non puoi usufruire della convinzione di “libero accesso alle menti”, perché se non capiscono, ti dicono che loro non leggono la mente)

Ho imparato che ho meno amici di quello che credo.
(Ma credo sia un problema mio, idealizzo, per mia necessità, come se non ci fosse un domani)
(Non voglio dire che non ho amici, ma che potrei affermare di avere amici a loro insaputa)

Ho appreso che sono incagliata in un momento della mia vita. Non voglio tornare indietro ma non riesco ad andare avanti.
(E quindi?)

Ho ricordato che le scelte si fanno quando hai almeno due possibilità davanti a te. Se i tuoi occhi non vedono i bivi, ma un solo sentiero infinitamente dritto, non ci sono possibilità, c’è solo schiavitù mentale che porta alla fisica. E la cultura, lo studio, apre infinite possibilità, di mente e cuore.
(Pensavo alle persone che non studiano, non apprendono, non sono curiose e quindi non passano ai loro figli questa libertà. Siamo un paese, dove mediamente, si spendono molti più soldi per il matrimonio che per l’istruzione delle figlie)
(Per studio non intendo quello meramente scolastico, ma quella voglia di approfondire, sia essa matematica o perdersi nella ricerca di qualcosa che ci vibra dentro)
(Ma questo discorso è ampio non si applica allo solo studio. Ogni scelta prevede sempre almeno due possibilità)

Ho imparato a prendermi un pochino cura di me. Ho smesso di dirmi “Alzati e vai a lavorare, che vuoi che sia la febbre, tachipirina e via”, ma ho detto alla febbre “fai il tuo dovere” e me ne sono stata a casa.
(Speriamo di ricordarcelo negli anni a venire)

Ho appreso che essere single e avere una famiglia di pelosi numerosa, di cui una cana che deve uscire almeno due minuti quattro volte al giorno, con la febbre alta è un casino. Ma che vince sempre l’amore per loro.
(e niente se penso a loro sorrido e basta)

Ho ricordato che l’amore che provo per gli altri, siano essi pelosi o glabri, è il carburante della mia vita. Quello che mi ha fatto fare salti di crescita, quello che mi ha reso forte, quello che ha riempito la mia vita, quello che mi ha fatto scoprire (attraverso i cuori altrui) parti di me che non conoscevo. Insomma, l’amore, quello che ha fatto di me quella che sono. Anche quando ho amato la persona sbagliata. Ma non è mai la persona sbagliata, è sempre quella giusta, solo non per noi.
(E ora, a volte, mi sento congelata)

ME & SEGAIOL QUESTIONS


Sabato sera, ho visto 3… 2… 1… Clic!, sono stata a cena da lei.
Finestra sui navigli, camino acceso e rosso nel bicchiere.
Le invidio, benevolmente, un potenziale emotivo.

Che poi chiamarlo potenziale è riduttivo, lei “l’emotivo” lo vive. Lo indossa ogni giorno. Lo mette quando si alza, quando va al lavoro, quando si arrampica, quando veleggia, quando parla e quando nonostante un carattere schivo e tendente all’ostrica e lì a parlare di se.
Si veste di “emotivo” così tanto, nonostante una salda e certa razionalità, che mi parte il senso di protezione nei suoi confronti. Che, diciamolo, il mondo là fuori è così affamato di emozioni, capace, per sopravvivere, di cannibalizzarti senza grandi rimorsi.

Me lo domando, in questi mesi che passano, in questo luogo dove l’acqua non è calda, dove l’acqua non è fredda. In questo fare per fare e non per viverlo, in questa nebbia tranquilla che ottunde e anestetizza. In questo capire e comprendere, ma non sentire, dietro a una membrana di vetro.

Dov’è? Che fine ha fatto il mio potenziale emotivo? Esiste ancora? L’ho consumato allo sfinimento? Si è rintanato come un coniglio nella tana? Me l’ho hanno rubato? Qualcuno lo tiene prigioniero? L’ho perso irrimediabilmente? E’ solo deluso?

Sento il peso del suo vuoto. Se ci penso è strano, il vuoto alleggerisce, come può pesare così tanto?

Se fosse il vuoto del seme? Se fosse quel momento in cui sei isolato per scoprire nuove cose di te? Se fosse l’attimo prima della nascita?
Se invece fosse questo l’invecchiare? Lentamente staccarsi da emozioni per non sentirne la mancanza? Perdere il contatto con il se terreno? Sentirsi sempre più alieno a questo mondo per non sentirne un domani la mancanza?

Ah le mie domande! Il mio potenziale può esser scomparso, ma il mio essere segaiola mentale, fedele mi è rimasto accanto.

IO E LEI


Io con il mio nuovo improbabile colore dei capelli, quasi alla Vivienne Westwood. Tutti a pensare che li abbia fatti apposta così, e invece no. Mi dicono “Di sicuro non passi inosservata”, ma del resto, quando mai negli ultimi ventanni son passata inosservata?

Lei con i suoi capelli in cui il rosso si nasconde tra le onde del color castano, come fa con i pensieri a volte. Li vedi guizzar per un attimo nell’iride per poi scomparire nei mondi che cela ai più.

Io con la mia giornata di ripasso dei colori dell’anima alle spalle, il cuore leggero per la bellezza delle persone con cui l’ho fatta.

Lei con la sua giornata di scalata alla montagna, dove affronti te stessa mentre affronti la parete. Dove capisci che la roccia è amica di chi la rispetta e la ama, che è madre accogliente e che sprona a dare il meglio di se.

Io e Lei così diverse nell’affrontare la vita eppure così profondamente simili a un livello che non vedi, ma percepisci.

Io e Lei difformi nel fisico ma entrambe a strappar sulla sinistra la lista della spesa scritta sulla carta.

Io e Lei compagne di viaggio saltuarie su questa terra, ma unite da un invisibile filo.

Io e Lei con le immagini negli occhi, e il nostro tentativo di catturarle.

Ecco io e Lei, poi qui, nel nero della sera, a tuffarci nel rosso e a parlare.
Io a parlare tanto, come sempre.
Lei parlare tanto, come quasi mai.

Grazie “LEI” di una bellissima serata nella Milano che amo e odio insieme. Da quando tu la abiti, io la amo un pò di più.