ANGELI NEL FANGO


Il tempo di dire vado e mi hai uncinato il cuore.

Come faccio a spiegare i mondi intorno a noi, come faccio a far comprendere? L’anima viaggia a nostra insaputa e a noi rimane solo la sensazione del sogno.

Se l’uncino non mi lacera il cuore, il tuo volto lo spalanca lasciandomi senza difese.

Se fosse follia, vaneggiamenti di una mente malata che cerca riposo in bugie pietose.  Fuggo per tornare, un patto antico, io so, chi è come me sa, tu sai, siamo angeli nel fango

Angeli con le ali spezzate
caduti su questo mondo di fango.

Non sono migliore di te.

Arranchiamo trascinando i piedi,
il sangue ci colora la vita.

Non sono migliore di te

Appoggiamo le mani sulla merda,
la pelle ci puzza di sudore.

Non sono migliore di te.

Cammino al tuo fianco, guardami!
Non sono più in alto di te.

Non sono migliore di te.

Non temere, non puoi trascinarmi nel fango,
ci sono già, siamo caduti insieme secoli orsono.

Non sono migliore di te.

Arriverà il tempo in cui le ferite guariranno
le ali torneranno a spiegarsi maestose.

Non sono migliore di te.

Spiccheremo il volo uniti,
questo è il destino.

Non sono migliore di te.

Ci siamo scelti da tempo immemore,
nel fango o nel cielo, ma insieme.

Non sono migliore di te.

Questo è il mio grido d’amore,
perchè le tue orecchie e la tua mente odano
ciò che il tuo cuore e la tua anima sanno già

Picture by Luis Royo

I PIEDI DEGLI ANGELI


Quando ero piccola io sapevo che gli angeli vivevano dentro le nuvole.

Avete presente quelle enormi dense nuvole primaverili estive? Quelle che sembrano bambagia attaccate al cielo azzurro da un filo invisibile. Ecco quelle. Io sapevo con certezza. In quelle vivevano gli angeli.

Durante i tragitti in auto con mio padre sedevo dietro, o meglio mi sdraiavo, con il naso all’insù, le osservavo senza staccare mai gli occhi. Prima o poi un angelo avrebbe fatto un passo falso, sarebbe inciampato o scivolato e un piede sarebbe sbucato fuori dalla nuvola. Quando ciò sarebbe accaduto, avrei avuto anche la prova di quello che già sapevo. Quelle erano le loro case.

Mentre osservavo distesa con gli occhi al cielo, immaginavo come potessero essere arredate con i mobili fatti di nuvola bambagiosa. Ho osservato a lungo e per anni. Chiaramente non ho mai visto il piede di un angelo.

Osservo ancora il cielo e nel farlo guardo anche le nuvole, anzi le fotografo, ma non cerco piedi d’angelo, qualcosa cerco però.
Cerco quel qualcosa che io so esiste, ma non riesco mai a vedere.

A volte temo di osservare il mondo con la stessa aspettativa di allora, e che anche qui, nonostante la mia attenzione, non vedrò nessun “piede d’angelo” sbucare da una soffice nuvola.

L’ALLUCE DELL’ANGELO


Ci credevo, ci credevo veramente. Loro vivevano là dentro.
Questo mio credere ha fatto si che i lunghi viaggi in auto non fossero mai così lunghi perchè ero impegnata a cercare prove e verifiche. Ci ho passato ore ad osservale, bambina, sul sedile posteriore con il naso schiacciato sul finestrino e gli occhi all’insù.
Prima o poi, ne ero sicura, qualche angelo avrebbe fatto un passo falso e un piede con tutta la caviglia angiolesca sarebbe sbucato fuori e finalmente io avrei avuto la prova che gli angeli esistono.
Non ho mai visto un piede angiolesco sbucare fuori, neppure un alluce volendo ben vedere, ma sapevo che loro vivevano là dentro in quelle nuvole soffici, bambagiose, paffute.
Quel tipo di nuvola era la casa degli angeli io lo sapevo, loro vivevano là dentro.

cloud

Poi ho smesso di credere.
Ho smesso di credere agli angeli, ho smesso di credere che il bene vince sempre sul male, che i buoni sorridono e i cattivi piangono, ho smesso di credere che se sei onesto gli altri lo saranno con te, ho smesso di credere a un sacco di cose.
Ed io invece vorrei credere, mi manca quella bambina con il naso schiacciato sul finestrino posteriore che cerca le prove dell’esistenza degli angeli.
Mi manca, mi manco, perchè quando credevo l’impossibile ho fatto l’impossibile.

Chissà forse dovrei guardare ancora in alto, strizzare gli occhi e osservare a lungo, dovrei credere di credere che chissà prima o poi un alluce d’angelo sbucherà dalla nuvola.