SFOGLIAMI


Se leggete solo i libri che stanno leggendo tutti gli altri, state pensando solo ciò che chiunque altro sta pensando.

E’ una frase tratta da un libro, Norwegian Wood, di uno scrittore giapponese che non conoscevo (e non conosco ancora, poiché l’unica cosa che ho letto è questa frase), Haruki Murakami.

Credo che questa frase mi abbia colpito per più di un motivo. Sicuramente uno di questi è che mi son resa conto di quanto tempo sprechiamo sui dispositivi elettronici, siano essi smartphone o smartv. Siamo un mercato formidabile per le loro pubblicità, mentre il nostro sistema neuronale muore d’inedia.

Un’altro è perché mi ha riportato ad un periodo lontanissimo della mia vita. Intorno ai nove anni, scoprii un luogo magico. La biblioteca pubblica. Fu amore. Un amore totalizzante. Io non giocavo con gli altri bambini, leggevo i libri.

Il mio uscire era diretto sempre alla biblioteca. Entravo in quell’edificio dalle mura altissime. Superate le prime due porte mi ritrovavo in una stanza con un tavolo e la bibliotecaria. Di fronte a lei, a un paio di metri di distanza, sulla parete gli schedari dei libri. Dei lunghissimi cassetti ricoprivano la parete ad altezza uomo.

Sorridevo alla bibliotecaria, le giravo le spalle e andavo davanti ai cassetti. Random li aprivo, tre diversi, e pescavo una scheda a caso.
Quei pezzetti di carta consunta scritta a mano erano il mio biglietto aereo per il mondo. Se il titolo mi piaceva lo tenevo, altrimenti pescavo ancora nello stesso cassetto. Quando ne avevo tre (il massimo consentito) tutta impettita e orgogliosa, andavo al tavolo e li consegnavo alla bibliotecaria. Lei spariva e poco dopo tornava con i libri. Non libri per bambini, ma i libri degli adulti, che a me delle figure colorate non importava nulla.

Davvero non so come potervi spiegare quel momento fatto d’intensità, eccitazione, desiderio, bramosia e felicità. Avevo ben tre libri da leggere tutti per me. Era come se davanti a me si dipanassero tutte le possibilità del mondo e io potessi pescarne a piacere. Solo a riscriverne mi risale quella sensazione dentro.

Io i libri non li leggevo, ci cadevo dentro.

Ho letto tanto, ma tanto, fino a che il lavoro non ha assorbito la maggior parte del mio tempo. La vita mi ha spintonato e fatto capire che quella realtà fuori dai libri dovevo affrontarla prima o poi. Lavoro, persone, esperienze, studio, riposo, figli, amore, tutto da stipare in sole 24 ore, e i libri sempre più in fondo, schiacciati dalla parola dovere.

Ho letto così tanto da bambina che l’oculista disse a mia madre che dovevo smettere di leggere, affaticavo troppo gli occhi. Mia madre mi proibì la lettura per un periodo, e io mi nascondevo sotto le coperte con una pila a leggere.

Avevo una media di tre libri ogni dieci giorni. Amavo i libri con tante pagine, così avevo molto più da leggere.
I nomi dei libri, dopo averli letti, sparivano dalla mia mente. I nomi degli scrittori, mi spiace per i loro ego, mi entravano dalla pupilla dell’occhio sinistro e uscivano immediatamente da quella dell’occhio destro. Ciò che contava era solo quel libro, quella carta con le parole scritte. E questo, tranne rare eccezioni accade anche oggi.

Non so da dove nascesse questo profondo amore per i libri, non appartengo a una famiglia di lettori, anzi.
So però, che sono fatta di pagine di carta lette negli anni, pagine come foglie autunnali, si sono depositate nella mia psiche accanto alla mia anima.
So però, che spesso vedo le persone come libri, a volte bellissimi, a volte un pò meno. Ma sono “libri” con storie che non conosco e che potrebbero farmi vedere mondi che altrimenti non vedrei mai.
So però, che a volte mi capita, mi si accende la speranza che qualcuno veda me come un libro, e che a quel qualcuno ho voglia di dire “sfogliami”.

PS: Ho detto sfogliami, non spogliami!
(che qualcuno di voi lo conosco)

README


A 4 anni arrivai in questa regione non parlando una parola di italiano.
Parlavo solo triestino, allora si usava così. In quelle terre il dialetto è lingua e appartenenza e lo usi, perché  sei fatto della terra che calpesti e dell’acqua che bevi.

A 6 anni arrivai alla scuola elementare, parlando una lingua straniera e fui catapultata a dover apprendere una nuova lingua: l’italiano.
Ancora oggi mi domando come posso essermela cavata, pensate per un attimo di parlare italiano e trovarvi di colpo a dover lavorare in un altro stato con persone che parlano in una lingua a voi sconosciuta e pretendono che tu scriva e parli nella loro lingua. Dovevo capirlo da lì che la vita è sopravvivenza.

A 8 anni a scuola ero fuori norma, più alta della media, più robusta della media, diversa fisicamente.  Mi ricordo ancora la mia maestra indicarmi e parlottare piano ad altre insegnanti al mio passaggio e il suo bisbiglio: “E’ friulana”.
I loro occhi su di me, li sentivo sulle spalle,  mi osservavano mentre camminavo verso l’uscita della classe. La mia vergogna, il sentirmi diversa, sbagliata, brutta, fuori posto, non ero come loro. Non ero minuta, non ero piccola, non ero esile, non ero lombarda.

A 10 anni leggevo talmente tanto che l’oculista impose a mia madre di impedirmi di leggere. Ma io leggevo di nascosto. Andavo alla biblioteca comunale, aprivo quei lunghissimi e stretti cassettini e prendevo tre schede a caso, ogni settimana.
Romanzi, scritti di tutti i tipi e generi, senza distinzione per ragazzi e non. Non guardavo né autori, né titoli. Ero fuori le dinamiche dei nomi, l’importante era conoscere. Io non leggevo i libri, io ero nei libri.

Sono cresciuta così, da figlia unica, in solitudine umana ma non in solitudine, perché io già “sentivo” e “sapevo” che la solitudine è uno stato mentale.
Sono diventata grande chiusa nel mio mondo, fatto di libri, di sogni e di pensieri. Una parte di me aveva paura del dolore. Il dolore di un dito e sei occhi puntati sulla schiena. Sono diventata adulta parlando poco con l’esterno ma ascoltando tanto.

Chi mi conosce ora, non lo direbbe mai che ero chiusa, timida e insicura. Oggi parlo tanto, mi espongo ancora di più;  ora dammi un “palcoscenico” ed io diverrò una buffona. Se qualcuno bisbiglia al mio passaggio, non abbasso gli occhi e proseguo, ma mi fermo torno indietro, chiedo se ha qualcosa da dirmi.

I libri mi hanno aiutato a crescere, i libri mi hanno fatto capire, i libri mi hanno fatto pensare, i libri mi hanno educata, i libri mi hanno fatto sognare, i libri mi hanno fatto viaggiare, i libri mi hanno spinto ad amare gli altri, i libri sono stati i mattoni di quella che sono io oggi.

I libri mi hanno fatto capire che ogni essere umano è un libro da leggere.