BLU


Il mantello è simile a quello dei film di fantasy, il cappuccio ampio gli copre parzialmente il viso, s’intravedono solo gli occhi e il mento. Si avvicina piano, senza esitazione.
Lo osservo da lontano, rimango impietrita sul posto e penso: “No! Per favore, fermati, fermati! Se ti avvicini troppo, se mi guardi negli occhi, capirai ancora tutto il potere che hai su di me”.
Ora capisco la paralisi delle prede.

Non si ferma, continua fino a trovarsi a pochi centimetri da me, alza lo sguardo e incrocia il mio. Lo sapevo, mi scoppia il cuore, trabocca d’amore e di paura.

E’ la paura a portarmi parzialmente in un risveglio, rimango lì, immobile nel letto, né in questo mondo, né in quello di Morfeo. Rimango lì al confine dei due mondi, mentre mi duole il cuore.

Non so perché, ma in quella terra di mezzo, la prima cosa che mi viene in mente è una tecnica che usano i fiorai. Colorano le rose bianche di blu, mettono l’inchiostro blu nell’acqua. Le rose assorbono l’acqua e nel farlo, cambiano il loro colore e la loro natura. Diventano bellissime e uniche.
Il problema è che per le rose, l’inchiostro è veleno.

Rimango così, ancora ferma nel letto, nel mondo di mezzo, lo sento, il mio sangue si colora di blu, lentamente e inesorabilmente. Arriva uno dei miei gatti, Loki, ci prova con la zampetta, picchiettandomi il volto, a riportarmi in questo mondo, ma il blu non lo permette, non fintanto che non avrà colorato tutto il mio sangue da rosso a blu. Quando accade, mi risveglio e sento il cuore gonfio.

Lo so già, questa giornata sarà così, avrò una percezione di te tutto il giorno, e mentre le ore scorreranno, verso sera, il blu si trasformerà in azzurro, e poi domani, il mio sangue tornerà rosso.

Quando, anni fa, me ne sono andata, ero convinta che ti avrei lasciato alle mie spalle e invece ti ho portato con me. Era molto che non venivi nei sogni. La sensazione è che in questa vita sarà sempre così, e questo da una parte mi spaventa e dall’altra mi consola, perché questo è “uno di quei sogni”.

E’ stato ieri che ho letto una frase di Barbara Alberti, «L’amore è per i coraggiosi, tutto il resto è coppia». Ed io, dopo te, son diventata codarda.

Mi alzo, vado in bagno e mi osservo davanti al grande specchio, penso che la vita ci prosciughi e ci fa sembrare come delle albicocche che si avvizziscono al sole. Dovrei sorridere di più. Il sorriso nasconde le rughe.

E’ un vero peccato che mentre la vita ci/si prosciuga, il nostro nocciolo interiore cresca e risplenda come un adolescente al suo primo amore. Forse è questo lo scopo, che perversamente il dio che ride ha creato. Quando il nocciolo interiore è pronto a sbocciare, l’involucro, il nostro corpo, avvizzisce e muore, permettendo a un nuovo noi di nascere. Un nuovo noi che porterà con sé l’insegnamento, ma non il dolore. Forse è questo il concetto della reincarnazione.

Credo che il dio che ride, giochi spesso con me, credo di essere uno dei suoi personaggi in questo suo gioco di ruolo.

Smetto di osservarmi allo specchio, chiudo gli occhi, si inizia la giornata. Spero arrivi presto questa sera, dove il blu si sarà stemperato in un pallido azzurro.

Domani sarà diverso, domani ricomincerò a postare i miei amati “principi asiatici”, perché favola per favola, loro non potranno mai farmi del male trasformandosi in lupi.

MONDO


Rimaniamo ancorati a quello che poteva essere e non è stato, quando in verità dovremmo ringraziare, perché è stato quello che doveva.

Invece no. Ci straziamo a lembi l’anima nello struggimento e nel dolore, impedendoci di librarci. Ci avvolgiamo nei veli pietosi, sottili e impalpabili degli inganni, dimenticando che la menzogna è un vestito di cotone, al primo lavaggio si restringe e ci lascia nudi.

Viviamo accerchiati da paure, per questo ne siamo contagiati, ma non siamo fatti per esser prigionieri, neppure di noi stessi.

E quella domanda di sottofondo sempre presente “Ma il Dio che ride perché mi ha fatto cadere in questo mondo?”

SFOGLIAMI


Se leggete solo i libri che stanno leggendo tutti gli altri, state pensando solo ciò che chiunque altro sta pensando.

E’ una frase tratta da un libro, Norwegian Wood, di uno scrittore giapponese che non conoscevo (e non conosco ancora, poiché l’unica cosa che ho letto è questa frase), Haruki Murakami.

Credo che questa frase mi abbia colpito per più di un motivo. Sicuramente uno di questi è che mi son resa conto di quanto tempo sprechiamo sui dispositivi elettronici, siano essi smartphone o smartv. Siamo un mercato formidabile per le loro pubblicità, mentre il nostro sistema neuronale muore d’inedia.

Un’altro è perché mi ha riportato ad un periodo lontanissimo della mia vita. Intorno ai nove anni, scoprii un luogo magico. La biblioteca pubblica. Fu amore. Un amore totalizzante. Io non giocavo con gli altri bambini, leggevo i libri.

Il mio uscire era diretto sempre alla biblioteca. Entravo in quell’edificio dalle mura altissime. Superate le prime due porte mi ritrovavo in una stanza con un tavolo e la bibliotecaria. Di fronte a lei, a un paio di metri di distanza, sulla parete gli schedari dei libri. Dei lunghissimi cassetti ricoprivano la parete ad altezza uomo.

Sorridevo alla bibliotecaria, le giravo le spalle e andavo davanti ai cassetti. Random li aprivo, tre diversi, e pescavo una scheda a caso.
Quei pezzetti di carta consunta scritta a mano erano il mio biglietto aereo per il mondo. Se il titolo mi piaceva lo tenevo, altrimenti pescavo ancora nello stesso cassetto. Quando ne avevo tre (il massimo consentito) tutta impettita e orgogliosa, andavo al tavolo e li consegnavo alla bibliotecaria. Lei spariva e poco dopo tornava con i libri. Non libri per bambini, ma i libri degli adulti, che a me delle figure colorate non importava nulla.

Davvero non so come potervi spiegare quel momento fatto d’intensità, eccitazione, desiderio, bramosia e felicità. Avevo ben tre libri da leggere tutti per me. Era come se davanti a me si dipanassero tutte le possibilità del mondo e io potessi pescarne a piacere. Solo a riscriverne mi risale quella sensazione dentro.

Io i libri non li leggevo, ci cadevo dentro.

Ho letto tanto, ma tanto, fino a che il lavoro non ha assorbito la maggior parte del mio tempo. La vita mi ha spintonato e fatto capire che quella realtà fuori dai libri dovevo affrontarla prima o poi. Lavoro, persone, esperienze, studio, riposo, figli, amore, tutto da stipare in sole 24 ore, e i libri sempre più in fondo, schiacciati dalla parola dovere.

Ho letto così tanto da bambina che l’oculista disse a mia madre che dovevo smettere di leggere, affaticavo troppo gli occhi. Mia madre mi proibì la lettura per un periodo, e io mi nascondevo sotto le coperte con una pila a leggere.

Avevo una media di tre libri ogni dieci giorni. Amavo i libri con tante pagine, così avevo molto più da leggere.
I nomi dei libri, dopo averli letti, sparivano dalla mia mente. I nomi degli scrittori, mi spiace per i loro ego, mi entravano dalla pupilla dell’occhio sinistro e uscivano immediatamente da quella dell’occhio destro. Ciò che contava era solo quel libro, quella carta con le parole scritte. E questo, tranne rare eccezioni accade anche oggi.

Non so da dove nascesse questo profondo amore per i libri, non appartengo a una famiglia di lettori, anzi.
So però, che sono fatta di pagine di carta lette negli anni, pagine come foglie autunnali, si sono depositate nella mia psiche accanto alla mia anima.
So però, che spesso vedo le persone come libri, a volte bellissimi, a volte un pò meno. Ma sono “libri” con storie che non conosco e che potrebbero farmi vedere mondi che altrimenti non vedrei mai.
So però, che a volte mi capita, mi si accende la speranza che qualcuno veda me come un libro, e che a quel qualcuno ho voglia di dire “sfogliami”.

PS: Ho detto sfogliami, non spogliami!
(che qualcuno di voi lo conosco)

LUMO


Ho imparato che:

Ci sono un sacco di mondi, tutti veri e tutti falsi, nello stesso momento.

Ci son persone che vivono con un preservativo sull’intero corpo, come vestito.

A volte ci si sente più soli quando si è in compagnia di quando si è soli.

Sorrido più forte quando una cosa mi ferisce, a nascondere, ma questo lo sapevo già.

Se ti chiedo una carezza sulla pelle e accarezzi la stoffa, sei Polifemo dopo il passaggio di Ulisse.

Le persone a volte ti feriscono non perché vogliono farlo, ma perché son ferite a loro volta. Ma il dolore inferto, cola come il loro e non fa meno male per questo.

Se non riconosci l’intensità del mio vivere, non mi puoi vedere.

Se non ascolti il respiro della mia anima, non mi puoi sentire.

Migliore e peggiore son due mondi, e come tali veri e falsi, nello stesso momento.

Di me ho imparato che:

Se mi allontani quando mi vuoi vicino, io me ne vado lo stesso.
Comprendo, non tutto è vero, capisco, giustifico, amo, sento il vuoto che lasci, ma me ne vado.

Se ti vesti di preservativo io volo via.

La mia anima vive attraverso “mi fai male” “mi fai bene”, ma questo lo sapevo già.

Ho scoperto di amare il mio corpo molto più di quanto pensassi. Quelli che credevo sfregi del tempo sulla carne, son le pennellate che ci rendono unici.

Mi piace fare l’amore, ma far l’amore è mettere tre parti di te in gioco, e quindi son sei, quando si è in due. Combaciarle è difficile.

Far del sesso lo lascio a voi, a voi che vi accontentate, voi che mettete in gioco solo una delle tre parti.

Anche io difficilmente metto in gioco tutte e tre le parti, ne metto in gioco solo due, ed è uno sbaglio.

Mi mancano da morire le coccole.

Apprendo sempre il meglio da ogni cosa.

So amare anche in maniera incondizionata, come il tempo del cuore, in maniera intermittente. Però, alla fine, l’egoismo umano, riprende sempre possesso di me.

Aldilà del grigio io vedo sempre la luce.

COGITO, ERGO SCLERUM


Penso che dovrei staccare, dall’anta interna della cucina, il foglietto con scritto gli orari e le medicine che Micio prendeva. E’ lì da anni e neppure lo guardavo più. Un promemoria per ricordarmi di ricordare che non avevo bisogno di un promemoria.

Penso che non sono ancora pronta a farlo. Staccare quel foglietto 11×14 è come staccarmi un lembo di pelle lacerata.

Penso che dovrò farlo prima che ritorni Progenie.

Penso che Progenie è lontana e cambia ed io non vedo il suo mutamento. E lei non vede il mio, anche se muto più lentamente di lei.

Penso che il “nocciolo” delle persone è dato nel momento in cui ci si adagia nel ventre, e non muta. Quello che mi manca è vedere i “semi” che ha deciso lasciar germogliare.

Penso che il mio tempo è prezioso, e mi sembra di sprecarlo, tra tasti della tastiera e della calcolatrice, mentre ascolto telefonate che irritano la mente. Dover trovar così tanto tempo per il “fuori” e averne così poco per il “dentro”.

Penso che il coraggio di mollare tutto ancora non ce l’ho. E mi tartasso un pò per questo.

Penso che certi libri andrebbero letti due volte, forse tre, per capire veramente cosa vi è scritto in ogni riga e comprendere di cosa è impregnata la carta. Eppure son mesi che neppure riesco a finirne uno. Leggendo creavo mondi in cui mi perdevo. Mi mancano.

Penso che amo la vita, profondamente, più divento grande, più vedo la sua infinita bellezza (pur sapendo i demoni che si celano nelle sue ombre), ma che non la vivo. Mi son messa ai bordi e la vedo scorrere.

Penso che sarei dovuta nascer farfalla, tante son le volte che mi son rinchiusa a bozzolo e son nata poi a nuova vita.

Penso che spesso le mie parole scritte non son altro che questo, i filamenti dei bozzoli, in cui mi rinchiudo, per poi un giorno leggermi e scoprirmi diversa.

Penso che penso troppo. Anzi penso che penso e mi ascolto con il cuore, ma lascio parlare anche lui e la psiche ha imparato ad ascoltarlo. Penso che se non fosse così, non si spiegherebbero quelle risate nascoste nelle pieghe della saudade con cui sono costruita.

Penso che è ora che smetta di scriver questo post. Io e la mia capacità di segaiolità mentale, non abbiano limiti.

think

MA IO DOVE VIVO?


Ieri sera, nello spazio che scorre tra la bottiglia e versare il suo rosso contenuto, tra pomodori secchi sotto olio e le parole, ad un certo punto mi si è spalancata la domanda: “Ma io dove vivo? Vivo la stessa città che vivono gli altri?”. Mi son girata verso un mio amico al tavolo e ho chiesto a lui la stessa cosa: “Ma io dove vivo?”

In una città ci sono mille città, lo so, ma ogni volta che scopro una “strada” che non avevo visto, mi sorprendo della mia cecità.

Realtà parallele. Mondi paralleli.

Flashback di un tempo lontano, in cui ti ho amato più di me stessa, nel momento in cui ti lasciai, ti preoccupavi che non mi facessi male nella vita viaggiando da sola. Io non capivo allora, ti guardavo in silenzio, pensavo “Ma se sei tu che mi hai ferito a sangue”.

La verità è che vivevamo in due mondi diversi, due orbite che si erano richiamate, per leggi antiche, nella loro rotazione e si erano intersecate. Due mondi di consistenza diversa che si erano inglobati uno nell’altro al loro passaggio. E il tuo mondo era costruito con una realtà più tormentata della mia.

Il mio mondo, a quei tempi, era fatto di fate e unicorni. Che non voleva dire sicurezza e felicità. L’unicorno ha la punta e con quella può ferire e uccidere, e le fate hanno la bacchetta magica con la quale modificare la realtà in maniera inaspettata.

Tu avevi paura per me, perché avevi paura per te.

Ma questo era ieri. Oggi mi versano vino rosso e mi parlano di quello che accade intorno a me, mentre io mi domando “Ma io dove vivo?”

Forse dovrei ricominciare da me, da chi sono ora.
Lasciare strade, città e mondi che non sono miei e mi fanno sentire straniera.

Cerco viandanti del mio mondo.
me-2016-11-08

ANGELI NEL FANGO


Il tempo di dire vado e mi hai uncinato il cuore.

Come faccio a spiegare i mondi intorno a noi, come faccio a far comprendere? L’anima viaggia a nostra insaputa e a noi rimane solo la sensazione del sogno.

Se l’uncino non mi lacera il cuore, il tuo volto lo spalanca lasciandomi senza difese.

Se fosse follia, vaneggiamenti di una mente malata che cerca riposo in bugie pietose.  Fuggo per tornare, un patto antico, io so, chi è come me sa, tu sai, siamo angeli nel fango

Angeli con le ali spezzate
caduti su questo mondo di fango.

Non sono migliore di te.

Arranchiamo trascinando i piedi,
il sangue ci colora la vita.

Non sono migliore di te

Appoggiamo le mani sulla merda,
la pelle ci puzza di sudore.

Non sono migliore di te.

Cammino al tuo fianco, guardami!
Non sono più in alto di te.

Non sono migliore di te.

Non temere, non puoi trascinarmi nel fango,
ci sono già, siamo caduti insieme secoli orsono.

Non sono migliore di te.

Arriverà il tempo in cui le ferite guariranno
le ali torneranno a spiegarsi maestose.

Non sono migliore di te.

Spiccheremo il volo uniti,
questo è il destino.

Non sono migliore di te.

Ci siamo scelti da tempo immemore,
nel fango o nel cielo, ma insieme.

Non sono migliore di te.

Questo è il mio grido d’amore,
perchè le tue orecchie e la tua mente odano
ciò che il tuo cuore e la tua anima sanno già

Picture by Luis Royo

L’AMICO IMMAGINARIO


Da piccola non l’ho mai avuto, ma sospetto di averne da adulta.
Parlo dell’amico immaginario.
Parlo anche di amori, situazioni, persone, emozioni, immaginarie.

Me lo sto chiedendo in questi giorni. Avendo io una fervida fantasia, mondi miei, universi miei, credi miei, quanti amici e amori immaginari ho avuto? Ho? Quanti film mai trasmessi ho visto?

Da piccola guardavo le arance e vedendole tonde e arancioni mi domandavo se quello che per me era tondo e arancione per un altro fosse quadrato e giallo, solo che ormai ci comprendevamo lo stesso avendo stabilito un codice per identificare l’arancia. (*)

Ho un sospetto in questi giorni, forte, che in fondo non voglio sapere. Ho degli amici immaginari. Amici con cui parlo, mi apro e credo vicino al cuore. Persone, emozioni che ho fatto entrare anni fa nella mia vita, ma non esistono, sono solo nella mia immaginazione.

Non riesco a trovare risposta, ma forse non voglio, forse dovrei parlarne con te amico immaginario, ma se lo facessi tu, mi diresti che sei reale e vero ed io ti crederei, anche se non lo sei.

Con la frutta è semplice. Con le persone meno.

(*) Si, segaiola mentale fin dalla più tenera età.