Vabbè, capita che ci siano canzoni che ancora mi emozionano. Non so dire se sia un bene o un male, probabilmente entrambe le cose contemporaneamente, a seconda da che punto di vista mi osservo.
Questa è una di loro. L’ho sentita passare in radio mentre andavo al lavoro. La notte di Arisa mi riporta sempre al sentire percepire vivere impregnarsi delle parole che dice. Del resto a chi non è mai capitato?
Vabbè, eccomi allora a “quando arriva la notte, e resto sola con me, la testa parte e va in giro, in cerca dei suoi perché“. E così strano sentirsi trasportata come in un viaggio del tempo, in un istante lontano, sentire il dolore lancinante e soffuso simultaneamente, e nello stesso tempo osservarsi con gelido distacco.
Non so i vostri, ma i miei perché son sempre rimasti senza risposta, a volte sospetto che la domanda che contiene il perché nei pensieri, sia di base un interrogativo senza risposta. Sia ben chiaro, sono sopravvissuta senza risposte, anzi forse proprio perché non ho trovato risposte, ma le ho cercate, ho trovato parti di me che formano la persona (Meravigliosa. Sì, lo ammetto, modesta è il mio secondo nome) che sono oggi.

Della serie bisogna perdersi per trovarsi.
Del resto la mia vita è piena di perché inevasi e di vabbè.
Oserei dire che i perché inevasi mi hanno portato ai vabbè presenti.
Mi rileggo, sorrido, credo che un anno d’isolamento da lockdown a singhiozzo stia ormai producendo in me effetti inaspettati.